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Ciao Roberta
Un sorriso in cambio di una stella

Mi verrebbe da dire “fermate il mondo” ma sarebbe l’estrema banalità a conferma di uno stato mentale in cerca di giustificazioni che non arriveranno mai. Verrebbe da dire “basta, basta!” Ma basta cosa, a chi? A chi rivolgersi, imprecare, chi condannare e chi assolvere? Chi è il mostro, dove alberga, a quale fonte si alimenta? Il nemico è sconosciuto eppure presente ovunque; è con noi, tra noi, ci alita accanto, ci dorme accanto, siede alla nostra tavola, beve il nostro sangue fingendo sia acqua, ha mille volti e mille sembianze, sempre alternanti, cangianti, camaleontici. A volte ci dona un fiore, altre colpisce al cuore. E quando decidiamo di scappare è già tardi.

Mi verrebbe da dire “fermate il mondo” ma sarebbe l’estrema banalità a conferma di uno stato mentale in cerca di giustificazioni che non arriveranno mai. Verrebbe da dire “basta, basta!” Ma basta cosa, a chi? A chi rivolgersi, imprecare, chi condannare e chi assolvere? Chi è il mostro, dove alberga, a quale fonte si alimenta? Il nemico è sconosciuto eppure presente ovunque; è con noi, tra noi, ci alita accanto, ci dorme accanto, siede alla nostra tavola, beve il nostro sangue fingendo sia acqua, ha mille volti e mille sembianze, sempre alternanti, cangianti, camaleontici. A volte ci dona un fiore, altre colpisce al cuore. E quando decidiamo di scappare è già tardi.
Un padre/madre, un marito/moglie, un balordo conosciuto per caso o l’amico con cui si è condivisa una vita, un cane trovato per strada o il fringuello che canta al mattino. Chi è il nemico da combattere? E noi chi siamo, se non siamo in grado di riconoscere il male, fuori e dentro di noi? Sì, perché additare non basta, gli altri siamo anche noi. Dobbiamo imparare ad analizzarci, a comprenderci, per metterci al riparo anche dalle nostre stesse fragilità. Potremmo impazzire ostinandoci imperterriti a cercare risposte che mai avremo e per autodifesa continuiamo a vivere, a respirare, camminare per strada senza conoscere la via, costretti a procedere per non essere calpestati dall’orda cieca che corre furiosa. Verso il baratro.
La mia città, San Severo (FG), è stata colpita da un doloroso evento luttuoso e nel cocente pomeriggio del 19 luglio ha dato l’estremo saluto a una delle sue figlie, Roberta Perillo di soli 32 anni. Bella, bella come una stella, se questo può fare differenza. Solare, solare come il sole che sfolgora sulle nostre piane. La vitalità emanata dal suo sorriso è un pugno in faccia, per chi ancora conserva una faccia. Roberta non c’è più, è volata via ma il suo sorriso è rimasto impigliato a un lembo di paradiso, sceso qui, su questa sporca terra, per lasciarci qualcosa da ricordare, oltre tutto ciò che si vorrebbe dimenticare.
Siamo sporchi e zozzi incartati in abiti che inamidano la nostra decenza; siamo piccoli e miseri, siamo esseri ripugnanti e gretti, eppure c’è chi cerca di giustificare l’ingiustificabile, c’è chi vorrebbe farci credere che siamo ancora umani.
Ma oggi i dubbi lacerano le coscienze di ognuno, la confusione e lo smarrimento sono incisi a lettere cubitali nei volti della gente. Vorremmo non vedere, non ascoltare, non sapere di tanta malvagità gratuita. Ingiustificabile.
La TV, la guardo così poco, ma quel maledetto notiziario… mio Dio, ho dovuto coprirmi le orecchie, tapparle, stringerle tra le mani, ma non è servito. Un colpo sordo allo stomaco, nausea e orrore, rabbia. Tanta rabbia! Pochi giorni fa il sorriso di Roberta si è incastonato in quello di una piccola di sedici mesi, scagliata dal padre 35enne dal balcone. Solo sedici, dico 16 mesi! 16/16/16! In che maniera si può affrontare un simile argomento con una penna in mano? Io sto pigiando forte, sempre più forte la tastiera del pc e mi accorgo che sto scaricando bile e veleno. Forse è stata la molla che ha fatto traboccare il mio stomaco perché di Roberta non riuscivo a parlarne, cercando di rigettare la triste realtà; troppo dura da ammettere, troppo straziante da analizzare lucidamente.
C’è chi rigetta l’ipotesi del femminicidio(ma guarda caso voleva lasciarlo) perché il ragazzo faceva uso di farmaci; ma se fare uso di farmaci giustificasse il crimine apriremmo le porte alla mattanza. E se il termine femminicidio fa storcere il naso, chiamiamolo pure omicidio, cosa cambia? Magari servisse a riportarla in vita. I fatti sono che è stata uccisa, secondo l’esame autoptico annegata nella vasca da bagno. Fa male, tanto male!
Intanto i notiziari sottolineano che il papà di San Gennaro Vesuviano (NA) era depresso e i due genitori erano in fase di separazione (guarda caso-ritorsioni verso la moglie per ucciderla da viva). Spengo la TV.
Ora andiamo a dirlo a un angelo di sedici mesi che il padre si era leggermente irritato o forse un po’ incazzato e non ha saputo arginare gli istinti primordiali. Chi glielo dice? Io no, me ne vergognerei, fatelo voi se potete. Magari anche per la bimba di due anni, uccisa dalla madre depressa in aprile, o per tutte le Roberta che non hanno potuto prendere a morsii sogni che stavano accumulando sul cuscino. E sono state prese a calci e pugni o peggio ancora pugnalate, strangolate, arse vive. Avete dimenticato? Non fatelo, non lo meritano. Il più delle volte che una donna dice “No” o “basta” va incontro a ripercussioni o vessazioni di varia natura da parte del partner, fino alla soluzione estrema.
Emerge un dato allarmante e non credo sia l’unica a notarlo; se la maggior parte dei carnefici ha disturbi comportamentali o legati a problematiche psichiche – senza tirare psicoterapeuti, criminologi ecc. perché sto scrivendo all’impronta – forse il sistema sanitario ha delle falle, dei buchi grossi come voragini in un colabrodo. Forse l’intero sistema è da rivedere se non vogliamo rischiare l’estinzione.
Leggo ancora di Roberta, i social sono tremendi senza quei necessari filtri che servirebbero più della crema solare per non ustionare con la forza delle parole.
Non sono cinica, né stupida (ma questo non posso assicurarvelo); sappiamo bene che esistono due famiglie che stanno attraversando uno dei momenti peggiori della loro vita.
L’una sta soffrendo le pene dell’inferno; dovrà affrontare la gogna, i giudizi, i processi; una famiglia distrutta dalla sofferenza.
L’altra non è una famiglia distrutta; semplicemente non è più una famiglia.
Così come un tavolo con una gamba in meno, una farfalla con l’ala spezzata, un calice senza il fondo che non potrà mai essere colmato. E chissà perché mi vengono certi paragoni, ma è pensare a un qualcosa che non avrà più la sua funzione d’origine, sarà sempre manchevole. Ci sarà sempre un pezzo di cuore in meno a mandare stilettate, a toglierti l’aria dal petto, a soffocarti ad ogni ricordo. A dirti che sei ancora vivo anche quando non vorresti. Roberta è stata strappata brutalmente all’affetto dei propri cari. Di più non mi sento di dire.
Contaminare un dolore o giudicare è aggiungere male ad altro male – a questo ci penserà già la magistratura e purtroppo anche il fracasso dei media –ma è nostro dovere non dimenticare le vittime innocenti che attendono risposte. Alcune da anni.
Glielo dobbiamo; per tutte le mamme, i figli, per tutti coloro che hanno conosciuto la sofferenza estrema, per tutti coloro che sono stati derubati del diritto alla vita.
Oggi ci rimane un sorriso, consegnato a un foglio di carta o a brillare da un monitor anche da spento.
Roberta è dove ogni cosa è pace, dove non c’è dolore, cullata da braccia di Madre.
E forse chissà, da quell’angolo di paradiso magari di tanto in tanto scenderà una mano ad accarezzare il pianto, a conforto di chi rimane e non sa cosa sia a fare più male: se la vita o la morte.
“Si sveste anche la luna, non c’è festa questa sera,
c’è da aggiungere una stella sopra il manto del creato.”
Ciao Roberta

Circa l'autore

Maria Teresa Infante