Mi era capitato spesso di leggere sue notizie, poi lo incontrai e alla prima stretta di mano mi resi conto dei suoi modi schietti e trasparenti. Oggi, dopo una conoscenza più approfondita, sono a chiedergli non solo della sua figura, o figure, mi sento di dire, professionali, ma anche del suo essere persona, che mi è apparsa alquanto in linea con una propria coscienza morale, mirata soprattutto al bene e al perseguimento di valori etici pur se a discapito di personalismi e opportunismi.
MT – Iniziamo dalla nascita che mi sembra già avventurosa. Nasci nel ’45 a Foggia, in maniera epica, da padre napoletano e madre di Terlizzi.
E– In effetti il posto esatto in cui sono nato è una Balilla e mi piace ricordare questo avvenimento, narratomi dalla mia mamma, di cui rivedo ancora i dolci lineamenti. Preciso che erano i tempi di guerra e i miei genitori sposati in chiesa , con già tre figli; mio padre portò mamma, in attesa di me in quel dì 9 ottobre del ’45 a fare un giretto distensivo verso Torre dei Giunchi, ma dovettero in tutta fretta cambiare destinazione e scelsero, di dirigersi verso gli Ospedali Riuniti, ma non ci fu tempo… emisi il mio primo vagito in macchina, tra le braccia sorridenti di mia madre; non so quanto sorridente perché, una volta giunti in ospedale, risultai pesare g 7.400! L’allora dott. Parracino divenne anche mio padrino.
MT – Con quella “stazza” sei cresciuto in fretta! E hai scelto di entrare nella Polizia di Stato?
E – Da piccolo avevo due sogni: fare il poliziotto e il Pilota di autocorsa così ho sempre cercato di conciliarli. A dire il vero vinsi dapprima il concorso in Aeronautica e partii alla volta di Caserta, specialità ACDA – operatore RADAR e poi alla base NATO – JACOTENENTE CRC – ai monitor quale controllore e assistenza volo traffico internazionale Spazio aereo. Mi dicevano “Nocera sei unico.” Mi affascinava il mio lavoro, portavo avanti oltre trenta “tracce” e davamo assistenza in volo ai giovanissimi piloti della nostra onorata scuola di volo basico caccia ricognitori di Amendola. Era tutto gratificante.
MT – E poi cosa accadde? So che provi amarezza nel ricordare.
Ennio – Tanti colleghi si complimentavano per la mia alacrità ma sapevo bene che ero inviso a qualcuno che trovò l’occasione giusta per infliggermi la massima punizione per aver seguito, come sempre, il mio cuore. Infatti in pieno turno sala operativa ho soccorso un collega (Michele), svenuto in una chiazza di sangue. Era a terra, urlante di dolore e io feci tutto ciò che era in mio potere per alleviargli la sofferenza con un andirivieni dalla mia postazione per prestandogli i primi soccorsi. Il collega si riprese dopo ore dallo sfinimento ma io passai il Natale in cella, umiliato per aver fatto del bene. Me ne andai con quattro anni di servizio resi allo stato e dovevo giustificarmi con la famiglia. Mio padre mi segnò la schiena con una sedia fuori produzione da anni, e non furono i lividi a farmi tanto male quanto il suo sguardo penetrante e furente.
MT – Una dura punizione per un gesto di umanità. Cambiasti professione poi?
E– Poi ci furono un paio di anni in cui avevo solo voglia di leggerezza e di seguire l’altra mia grande passione, la guida spericolata. Guidavo e scarrozzavo amici per le terre del Gargano e non solo; salite discese a gran velocità, come piaceva a me, io con il Maggiolone che spesso rubavo a mio padre e gli amici (Sardella, Antonacci, Cirino, Aniello, D’Anzeo) che suonavano ai lidi, o ovunque capitasse. Erano gli anni del rhythm and blues. Riempivamo la mia Volkswagen con le casse enormi e stavamo fuori casa per mesi, ma sempre sobriamente, ogni tanto mi improvvisavo percussionista. Ricordo Mimmo D’Amore, Gigi Vene, i Gauchos e altri gruppi nostrani con cui condivisi bellissime esperienze.
MT – Non arrivò più la vecchia sedia sulle spalle?
E– La sedia no, ma le contravvenzioni, l’ansia di mia madre e zero soldi guadagnati – motivo che mi stava inducendo a profonde riflessioni – fecero prendere un’altra decisione drastica a mio padre, che diede nuovamente una svolta alla mia vita. Difatti a mia insaputa (aveva fatto tutto lui), per aiutarmi ad avere un lavoro, mi propose un premio in danaro se mi fossi presentato a Nettuno per le prove concorsuali nelle Guardie di Pubblica Sicurezza. Superai il corso e conobbi amici preziosi ma feci di tutto per unire le mie due passioni e poter guidare veicoli con un motore e quattro ruote e non solo.
- E questa parte della tua attività professionale è la più nota, quella che poi ti avrebbe portato sulle strade del Rally, la tua innata passione, per cui hai avuto esperienze indimenticabili e amici titolati del settore.
E – Credo di sì perché, in effetti, grazie alla mia guida sicura e spericolata presi parte a inseguimenti e conseguenti arresti d’eccellenza, basti citare Vallanzasca, il bel Renè, l’angelo della Comasina nella notte del 16 febbraio ’82. Poi ho scortato politici anche al Viminale, al Quirinale, alla Banca d’Italia; così come pure arresti nella nostra stessa San Severo. Ho denunciato magistrati, capo cantieri, faccendieri, avvocati; insomma per il bene della verità e della giustizia mi sono sempre messo contro tutti, pagando alla fine la mia testardaggine mentre delle inchieste non se ne faceva mai nulla e io diventavo sempre più scomodo, ma nessuno è riuscito a ledere il mio senso del dovere. Ho cercato inutilmente di intaccare il sistema lobbystico del nostro Paese.
MT: Ogni giorno a contatto con il crimine, tante amarezze. Come è cambiata la tua visione dell’uomo?
E– L’uomo è l’immagine di Dio. Dio è amore in noi e se l’uomo vuole, come dice Tusiani, può cambiare, si vive il bene non facendo il male. Io vivo la mia vita con questo credo. Ho sempre aiutato detenuti, emigranti, bisognosi. Se penso a Formicosa e alla puzza dei cadaveri bruciati, al terremoto a Sant’Angelo dei Lombardi e altri luoghi inaccessibili che riuscivo a raggiungere con la mia macchina per portare aiuto, in consapevole incoscienza, lasciando da parte il sistema e seguendo la mia fede interiore.
MT– Hai vissuto per anni al centro nord; il rientro in una piccola cittadina, quale San Severo è stato desiderato e benevolo o traumatico?
E– Ho deciso di tornare con la mia famiglia perché San Severo è il mio paese, il paese degli amici in cui credo, perché l’amicizia per me è un grande valore. È il paese dei viticultori sani e laboriosi; il paese di ebanisti, falegnami, pastai, carpentieri che ci hanno reso grandi al Nord. Avevo nostalgia delle passeggiate sul viale, delle “zuppettine”, del profumo del ragù e della festa patronale. Certo, tante sono state le delusioni nel vedere i cambiamenti, ma la colpa è di tutti noi, spesso pelandroni sciocchi, intimoriti da falsi profeti in divisa o autorità criccate di mente.
MT – Vero, non stiamo attraversando un periodo roseo in quanto a tranquillità, ciò che più preoccupa è l’abbassamento della soglia d’età della criminalità. Da cosa pensi derivi questo sempre maggiore degrado?
E – Dall’ozio, padrone dei vizi, dall’abbandono del proprio credo, dalla mancanza di rispetto verso noi stessi e assenza di riferimento a valori morali in cui credere.
MT– La tua fiducia nei giovani, in quelli che saranno i nostri ricambi generazionali, c’è ancora o è svanita? In che maniera possiamo aiutarli?
E– Io credo nei giovani, con i quali vivo a stretto contatto anche con la promozione sportiva. Nel nostro territorio ci sono tanti ragazzi meritevoli anche per sapere e cultura ma non trovano le condizioni giuste per emergere.
MT – In che maniera possiamo aiutarli?
E – Con esempi positivi! Sai che il mio ispiratore è Alex Zanardi, un campione sulla pista e nella vita; cerchiamo di essere vicini ai giovani, con la solidarietà e il buon operare per insegnare loro buonsenso e rispetto per l’altro, a osservare la vita da altre prospettive, dove il valore non è solo il dio denaro.
MT– Infatti mi ha colpita fin da subito questa tua bella amicizia con Zanardi, con cui condividi la grande passione per la velocità e il Rally, che è stata la grande follia della tua vita. Entrambi sognatori, come dire “Dio li fa poi li accoppia!”
E– Sì, taluni azzeccagarbugli ci chiamano “fidanzati.” Ho conosciuto Alex’ di persona quando andai a trovarlo dopo l’incidente, anche se ci conoscevamo a distanza. Da lui ho imparato che la vita è un dono e dobbiamo rallegrarcene, ci ha educati nel sociale e dal punto di vista tecnico. A contatto con la nazionale paraolimpica insegna a conoscere i materiali per le riabilitazioni, a dare sostegno durante gli interventi chirurgici e a trasmettere fiducia nel futuro. È un campione di umanità.
MT: Nonostante la tua professione non facile e a contatto stretto con il crimine, hai mantenuto intatta la tua positività. In che maniera sei riuscito a preservarti?
E– Pregando il mio Gesù, rispettando il mio ego primario e la mia famiglia, non frequentando luoghi dediti al vizio, gustando amici sinceri, ascoltando tanta musica (adoro Sinatra conosciuto alla Bussola). Gioisco dei miei ricordi fortunati. Ho conosciuto Juan Manuel Fangio, apripista su Ferrari 166; ho Premio Gilles Villeneuve, regalatomi da lui stesso a Monza nel 1981; ho un album con migliaia di piloti, artisti, personalità dello sport. Sono puzzle del percorso che ha dato vita a ciò che oggi sono.
MT – Per questo hai sempre il sorriso pronto?
E – Sorrido sempre non perché sono sciocco ma per interfacciarmi in maniera positiva con la gente; sorridere predispone al bene.
MT Sei un uomo di fede, con una intensa spiritualità interiore. Potremo essere perdonati un giorno da un Dio misericordioso?
E – Gesù ci ama a prescindere; attende il nostro avvicinamento sincero.
MT– Cosa farà domani Ennio?
E– Spero di convincerlo ad aiutare prima se stesso, ma ho poche speranze, lui aiuta prima tutti gli altri, a cominciare dagli amici al bar, magari con una buona barzelletta, mai volgare. Lui è così, ma io gli voglio bene lo stesso. “Ennio è l’ultimo a sentire la pioggia.”
MT– Io aggiungo che è anche il vento buono che spira tra i tetti della città, basta aprire le finestre.
Maria Teresa Infante