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IL SANSEVERESE MARIO PENNACCHIA E UN SOGNO CHIAMATO “BICICLETTA”

Scritto da Peppe Nacci
Fondatore nel 1977 del Gruppo Sportivo Ciclistico Dauno Contribuì in modo significativo all’invenzione degli ammortizzatori, creando quella che battezzò ”Bicicletta elastica”, esempio ispiratore per la maggiore produzione italiana
 
Questa potrebbe essere la storia di un film o di un romanzo, in cui un uomo lotta per realizzare il proprio sogno partendo da una provincia meridionale per approdare in una metropoli del nord Italia, con un’invenzione rivoluzionaria in tasca. E’ invece la storia del sanseverese Mario Pennacchia, che contribuì in modo determinante alle vicende della bicicletta e alla sua evoluzione.
 
Abilissimo artigiano, capace sin da piccolo di trasformare un semplice rudimento in un utensile d’efficacia, dedicò il talento alla sua grande passione, la bici. Infatti da ragazzino, nella calura della San Severo anni ’60, Mario spendeva le sue vacanze estive in una tra le più importanti botteghe della città, apprendendo dal mastro l’arte di riparare le biciclette, e così iniziando ad amarle, unitamente allo sport che le rappresentava.
 
La passione cresceva, insieme agli anni che passavano in fretta tra copertoni e gomme da riparare ( il suo pollice nel tempo sarà sempre più vistosamente rivolto verso l’alto, proprio per le migliaia di copertoni sistemati) catene da oliare, e corse in sella tra le vie del suo paese e della campagna che lo lambiva, finché nel 1977 non fondò il Gruppo Sportivo Ciclistico Dauno. Con questo conquistò ambiti premi grazie alla preparazione e all’abilità dei suoi atleti, veri e propri campioni, portando la squadra e il nome della città in giro per l’Italia, e soprattutto facendo amare questo sport nobile anche ai più giovani. Tante furono le gare ciclistiche organizzate pure nella cittadina, che coloravano il così detto “giro esterno” – considerato dagli osservatori del CONI un ottimo circuito.
 
Ricordo l’andirivieni dei ciclisti per casa, le collezioni di coppe sistemate nella sala, come le targhe e i premi offerti dagli esercenti. Io lo aiutavo ad abbinarli ai rispettivi classificati, mentre mio fratello Enzo lo affiancava nella fase logistica. Risento ancora il ticchettio della vecchia macchina da scrivere con cui mio padre documentava l’esito delle gare e i nomi dei vincitori per ogni categoria, dati che inviava alle emittenti e ai giornali locali. E come dimenticare poi i viaggi fatti insieme per raggiungere le diverse città italiane dove si tenevano le corse, e i paesaggi che non smettevo d’ammirare” ricorda la figlia Marileta, sottolineando che, divenuto consigliere provinciale della Federazione Italiana Ciclismo, ebbe la fortuna di incontrare i suoi grandi beniamini, e per di più di essere ospite in una cerimonia commentata guarda caso da Mario Pennacchia, noto giornalista sportivo suo omonimo – nomi e vite evidentemente destinati al ciclismo. Stimato dai dirigenti del CONI, era anche legato da grande amicizia a Raffaele Bentivoglio, allora vice presidente del Comitato Regionale Federazione Ciclistica Italiana, che lo coadiuvava nell’organizzazione delle gare, aggiunge Pennacchia.
 
Mario amava perdutamente le due ruote, e proprio per questo le avrebbe volute più comode. Non gli piaceva infatti che la bicicletta rimanesse rigida al passaggio di dossi o percorsi accidentati, voleva invece che vi transitasse ammortizzando i sussulti. Pensava che, come le automobili, dovesse godere di sospensioni, tali da renderla morbida, comoda, una bicicletta elastica, si, disse proprio così, elastica. Dopo i primi tentativi andati a vuoto non si diede per vinto, e in una notte insonne ebbe un lampo di genio. Alzatosi, prese carta e penna e disegnò un prototipo di ammortizzatore con alcune correzioni. Questa volta sono sicuro che funzionerà, si disse avvicinandosi alla finestra; un mare di stelle silenzioso copriva la città.
 
Lavorò per una settimana alle modifiche e, dopo alcune prove e risultati parziali, riuscì finalmente a realizzare ed applicare il nuovo sostegno. La bicicletta appoggiata al muro, si calò ancora una volta a controllare che gli ammortizzatori fossero fissati bene e tenessero, la spostò fuori dalla bottega, abbassò la serranda, si mise in sella e incominciò a pedalare. Dopo pochi metri, passato su una buca nemmeno se ne accorse, e così trenta metri dopo, e non sentì l’attrito nemmeno quando, un quarto d’ora appresso, superò un brutto dosso che apriva alla campagna. Non ci poteva credere, i suoi ammortizzatori a stantuffo funzionavano! A soli 24 anni Mario Pennacchia aveva inventato la prima “Bicicletta elastica”.
 
Era il 1960 quando la espose alla mostra dell’Artigianato di Foggia e provincia, dove fu insignito di un diploma al merito distinto e si aggiudicò un premio in denaro. Ma a Mario non bastava, e allora decise di trasferirsi a Milano per lavorare in una nota ditta che produceva biciclette – qui lo apprezzarono così tanto da mettergli a disposizione un alloggio, cosa che per quegli anni nel capoluogo lombardo era un grande conquista. Questo però non bastò a trattenerlo nel settentrione, lontano dalle sue strade, dal sole del suo paese si sentiva perso, e così dopo un periodo trascorso nell’azienda a condividere la sua esperienza e la sua conoscenza con quelle degli altri colleghi, decise di ritornare a San Severo.
 
Di lì a poco Milano produceva su larga scala il nuovo modello ispirato alla “bicicletta elastica”, racconta Marileta Pennacchia, che sa bene quanto le due ruote siano state icona degli anni ’60, status symbol della classe medio borghese, il primo mezzo di trasporto e di lavoro in un’epoca in cui, come il padre le raccontava, i contadini raggiungevano ancora i campi a piedi. La bicicletta era quindi un lusso e insieme una grande possibilità; la sua diffusione su larga scala rappresentò una grossa emancipazione per quegli anni.
 
Vorrei dunque che chiunque usi la bicicletta in Italia, sapesse che l’ importante innovazione che gli permette finalmente di spostarsi comodamente, anche su strade accidentate e per lunghi tragitti, deve molto alla dedizione e alla passione di un giovane artigiano sanseverese, che ha creduto e lottato per il suo sogno e la sua invenzione, convinto, al di là di paternità e brevetti, che le grandi idee debbano essere gratuite e a vantaggio della collettività” conclude Marileta Pennacchia, tra queste righe rivedendosi bambina, ancora una volta in bicicletta insieme a suo padre.

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Peppe Nacci

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