Spiegare il dolore in modo semplice è quanto di più complesso possa esistere e questo è di per sé un problema, in quanto la mancata comprensione dei meccanismi provocativi causa paura e catastrofizzazione nel paziente, processi, questi, implicati nell’incremento del dolore stesso; insomma un serpente che si morde la coda.
Un modo semplice, per comprendere il dolore correlato ai livelli e ai tipi di attività predisponenti, è parlare di categorie d’utilizzo. Sebbene questa classificazione sia semplicistica e non si riferisca alle fonti del dolore e a tutti i meccanismi, spesso è di grande aiuto al sedentario e allo sportivo, al pigro e allo stacanovista, all’atleta che non è andato mai incontro ad un infortunio e a quello che interrompe più volte la stagione agonistica a causa d’infortuni.
Scrivevo che questa classificazione è utile, in quanto permette celermente al paziente di modificare il proprio comportamento e la propria attività in rapporto all’use categories attribuitagli in fase di valutazione.
Partiamo quindi con le use categories:
- New use: è questo il dolore della primissima volta che facciamo una nuova attività; le nostre stutture muscolo-scheletriche non sono mai state utilizzate in quel tipo di attività, con quell’intensità e per quel tempo. Nei giorni successivi ci sarà quindi uno strano indolenzimento muscolare, muscoli contratti e dolenti alla palpazione e infiammazione articolare. Non c’è da preoccuparsi è un dolore passeggero, che scomparirà se ci si continua ad allenare con criterio.
- Disuse/under use (non utilizzo o sottoutilizzo). In questo caso il dolore sarebbe la fisiologica risposta ad un periodo di decondizionamento fisico. Lo sperimentano temporaneamente, in diversi distretti, coloro che tornano al proprio sport dopo un mese di inattività. Un esempio potrebbe essere il mal di schiena del giocatore di basket, che torna a caricare i propri erettori spinali dopo un mesetto di inattività, o il dolore che sperimentano alle ginocchia tutti quelli che, per vari motivi (fratture, allettamento) non hanno potuto camminare per un lungo periodo. In tutti questi casi bisogna ignorare il dolore (se sopportabile) e proseguire nel condizionamento fisico in modo progressivo. Quindi questo fastidio non sta ad iidicare di fermarci ma di proseguire, impostando meglio i carichi di lavoro.
3. Overuse (uso eccessivo). Ci troviamo nella situazione diametralmente opposta; articolazioni, muscoli e tendini sono stati sovraccaricati, il dolore è quindi un meccanismo d’allarme (da non sottovalutare) che ci aiuta a fermarci prima di andare incontro ad infortuni. Dovremmo sospendere temporaneamente l’attività provocativa (almeno 4 giorni) offrendo all’organismo il tempo sufficiente, per superare eventuali affaticamenti e infiammazioni; successivamente si dovrebbe riprendere con gradualità e progressività la propria disciplina o lavoro. E’ importante evidenziare che la stessa dose di esercizio può essere allenante o riabilitante in un paziente e dannosa per un altro, poiché il condizionamento all’esercizio è differente. Ecco perché si dice che l’esercizio è un farmaco (come per i farmaci i sovradosaggi sono dannosi).
Fermiamoci un attimo: finoora abbiamo esaminato 3 categorie d’utilizzo (date dall’interpretazione del dolore in rapporto all’attività predisponente) in cui non ci sono disfunzioni di movimento ma è il carico di lavoro ad essere stato insufficiente (nei primi casi) e ad aver decondizionato il sistema neuro-muscolo-scheletrico o invece eccessivo (overuse) superando la soglia di sopportazione al carico di lavoro individuale. In questi 3 casi raramente c’è bisogno del fisioterapista ( tranne che in riabilitazioni post immobilizzazione e post-chirurgiche nel disuse). Può essere sufficiente modificare la propria scheda di lavoro col proprio personal trainer, allenatore o farsi seguire da un dott. in scienze motorie.
Ora invece osserviamo categorie d’utilizzo in cui c’è un’alterazione del gesto motorio, dell’allineamento di un distretto, dell’artrocinematica o di più componenti.
4. Misuse (uso improprio/errato). Un distretto viene usato in modo improprio (errato) quando l’esecuzione di uno più movimenti causano micro-lesioni, lacerazioni, o infiammazione di una o più strutture (tendini, capsula articolare, legamenti). Un esempio può essere il culturista che intraruota il braccio durante le alzate laterali (lesionandosi il sovraspinato), il tennista che sviluppa problematiche alla spalla per imprecisione del gesto o squilibri muscolari, il maratoneta che tende ad iperpronare il piede andando incontro a fastidi al tendine d’Achille e alle ginocchia ecc. In questo caso bisogna far comprendere al paziente come l’attuale gesto atletico stia arrecando danni e poi correggere il gesto rivalutando la situazione sintomatica.
5. Abuse (abuso) Non saprei come tradurre questa categoria d’utilizzo in Italiano, perchè abusare di un distretto muscolo-scheletrico può essere frainteso con il sovraccaricarlo. Abuse è invece una categoria di utilizzo che rappresenta idealmente l’insieme che nasce dall’ inserzione di sovraccarico ed errato utilizzo. Ai danni quindi del sovraccarico si uniscono quelli di un gesto impreciso o comunque lesivo. Spesso chi compie attività ripetitive e lesionanti è consapevole del movimento lesivo ma continua ad eseguirlo perchè il gesto gli offre un qualche vantaggio, in termini di performance, di tempo o altro che perderebbe (almeno temporaneamente) acquisendo una tecnica corretta . Il caso emblematico è quello di sportivi che non vogliono cambiare il proprio assetto posturale dinamico o una propria giocata per non compromettere la prestazione e che, contemporaneamente, si sovrallenano col meccanismo lesionante.
In queste altre 2 categorie è ovvio che il problema non stia solo nella gradualità e progressività del carico di lavoro, ma servirà il fisioterapista per intercettare i disallineamenti, i segni e i gesti imprecisi maggiormente correlati al dolore e nel provare a correggerli ritestando il gesto motorio.
E tu in quale categoria d’utilizzo collocheresti il tuo dolore muscolo-scheletrico ?
Raffaele Tafanelli, Fisioterapista iscritto all’ordine