Il rispetto della propria terra insieme alla passione per la musica popolare, possono dare davvero grandi risultati, come nel caso di Angelo Frascaria, musicista ed etnomusicologo di San Nicandro Garganico, che col volume Essere stati quaggiù, pubblicato dalle Edizioni del Rosone, realizza un vero e proprio viaggio nel tempo, nell’animo di una comunità e nelle radici condivise, alla ricerca di un linguaggio perduto, “ li ndrandla”, il canto all’altalena, rendendo un prezioso contributo alla storia e alla cultura popolare tutta.
Dieci anni di indagine, sulla scia di suonatori e cantatori che sapessero intonare quegli antichi canti, figli di un’altra epoca, di un altro mondo, per dare testimonianza dell’immenso patrimonio musicale dell’area garganica, anche grazie ai due cd allegati al libro, mixati e prodotti presso l’EDrecords di Edgardo Caputo, che ripropongono insieme ai canti all’altalena, le registrazioni autentiche di nenie, storie cantate, tarantelle e di ballabili, senza escludere le grida dei venditori ambulanti, veri e propri marchi sonori di ogni comunità – quasi da contraltare al repertorio popolare e profano, pure le voci delle confraternite.
Non è stato facile per Frascaria trovare e coinvolgere le “voci”, generose e schive al tempo stesso, e nemmeno valutare le competenze dei suonatori e dei cantatori, distinti tra ripetitori e interpreti: i primi fedeli riproduttori dei canti, i secondi invece impegnati a farli propri e a reinventarli.
“Essere stati quaggiù, mi ha spinto a riscoprire il mio paese, il suo carattere, il suo sguardo sul mondo, ritrovandomi ad attraversarlo con occhi ed esigenze nuove: tutt’altro che una zona di confort, come invece si poteva pensare” confida l’autore; che ha potuto contare anche su una selezione fonica e canora frutto del lavoro di studiosi e ricercatori locali, realizzata negli ultimi sessant’anni.
Nella pubblicazione di Frascaria, voci che appaiono provenire da un punto sospeso nel passato, ancestrali, capaci di evocare un universo perduto, ma al quale sappiamo e sentiamo di appartenere. Suoni dell’anima quindi i canti recuperati da Angelo, anche grazie alla generosità dei suoi compaesani, veri e propri tuffi in una materia sonora lucente, toccante e struggente insieme – figli di una cultura popolare dolorosa, carica di sacrifici, croci e passioni, si aprono anche alla devozione, senza mai perdere il proprio equilibrio con la Madre Terra.
Quello de “ li ndrandla” è u n paesaggio sonoro distinto tra voci femminili e voci maschili che cantano le vicende quotidiane, amorose o di sdegno. Il canto era infatti un mezzo di comunicazione, familiare e sociale, con cui si poteva informare la piazza di quale famiglia fosse in contrasto con un’altra o, al contrario, degli accordi in divenire, come pure di come procedevano i rapporti tra vicini di casa. I canti si dividevano ancora in quelli appartenenti alla fascia “urbano-artigiano” espressione per lo più di barbieri, calzolai, falegnami, e quelli dei contadini o dei pastori.
Anche l’oscillazione aveva un suo preciso significato, con l’altalena issata pure all’architrave della porta, e non solo ai rami degli alberi, a differenza di quanto avveniva sul subappennino dauno.
Non c’è traccia degli autori originali dei brani, poi divenuti di dominio popolare, tranne che in alcuni rari casi, com’è per i ballabili del maestro Antonio Mastrovalerio, o di Michele Nardella.
Va considerato però che attraverso i riadattamenti di cantatori e interpreti si realizzerà quella che può essere considerata una forma di scrittura collettiva: i versi differiranno nelle diverse versioni dei canti.
Una fotografia musicale autentica di San Nicandro, che condivide le parole con l’Italia meridionale e centrale, a celebrare la scuola toscana come quella siciliana, soprattutto nella forma metrica dello strambotto. Testi identici eseguiti con melodie completamente diverse, quindi, da regione a regione, ma anche da paese a paese: è anche così che si crea il ricco mosaico di canti suoni e danze popolari, che caratterizza il Bel Paese.
Importante per l’autore ricordare tutta l’umanità che c’è dietro questi canti e che attraverso essi ha vissuto, cantando la passione, il legame come la rottura, e regolando così pure il rapporto con la comunità.
Oggi il canto sull’altalena, pur sopravvissuto al tempo, resiste sotto forma di memoria, di identità e di poesia, ma non è più usato per comunicare, sostituito dai moderni mezzi popolari, che non escludono la tecnologia e i social network.
“Già nel 2003-2007 si faceva fatica a reperire questi canti, anche se c’erano ancora i cosiddetti “Alberi di canto”, cioè quelle persone che conoscevano una gran quantità di testi e che oltretutto li sapevano intonare sulla melodia giusta” ricorda Angelo Frascaria – un patrimonio umano purtroppo sempre meno presente col passare degli anni.
Antiche tradizioni musicali , ricche di pratiche e generi i canti all’altalena. Un patrimonio popolare unico, figlio di una cultura sotterranea, vissuta ufficiosamente per molto tempo, e che oggi appare messa al muro da una modernità cieca e sorda, in cui però trova la forza di tramutarsi ancora una volta in bellezza e memoria, anche grazie a San Nicandro, ad Angelo e al suo Essere stati quaggiù.
Per approfondimenti e richiedere il libro Essere stati quaggiù, è possibile visitare la pagina Facebook “Laboratorio di arti e musiche popolari”
E’ possibile conoscere l’autore anche in questa video intervista
https://www.facebook.com/dauniaarteecultura/videos/454437061919209/
Mammete t’ha cresciute
Mammete t’ha cresciute
e ji t’abbracce…