Il movimento è una straordinaria sinfonia che ci permette di interagire, di manipolare oggetti e di migliorare il mondo in cui viviamo e i modi in cui interpretiamo lo spazio circostante.
Se volessimo paragonare ogni struttura del nostro sistema neuro-muscolo-scheletrico ad uno strumento musicale, potremmo allora immaginare la nostra colonna vertebrale come un pianoforte a coda.
Questo maestoso strumento, costituito da 33-34 tasti bianchi (le vertebre) e 23 tasti neri (i dischi intervertebrali), ci permette un’ampia gamma di movimenti, derivanti dalla sommatoria dei vari micro-movimenti che avvengono tra un tasto di pianoforte e il successivo.
Micro-movimenti tridimensionali dalla cui somma dipendono tutte le attività complesse, che svolgiamo durante la vita quotidiana: allacciarci le scarpe, stendere la schiena per acchiappare un barattolo posto troppo in alto sullo scaffale o, ancora, ruotare la colonna per inserire la retromarcia quando guidiamo.
A volte, per svariate cause, qualcosa va storto ed uno o più tasti si “inceppano” (o sono troppo mobili in altri casi) e la melodia risulta alterata, “stona”. Il pianoforte (la schiena) va perciò sistemato ripristinando il fisiologico scorrimento tra i tasti, regolando i tasti troppo mobili e sbloccando quelli rigidi.
Magari è possibile ancora flettere ed estendere la colonna quando una unità funzionale spinale non “scorre” bene, ma compaiono dolore e rigidità, il meccanismo con cui l’organismo cerca di informare che qualcosa non va. Serve quindi l’accordatore, il fisioterapista specializzato in terapia manuale che regola un po’ i tasti, prima che la situazione degeneri e diventi cronica.
Questo è il modo in cui spiego il ruolo della terapia manuale nel trattamento delle disfunzioni vertebrali ai miei pazienti. Certo il movimento delle unità funzionali spinali è tridimensionale e molto più complesso di quello dei singoli tasti di pianoforte, ci sono molte più strutture anatomiche da tenere in considerazione e controindicazioni prima di procedere al trattamento, ma è un modo per rendere più elementare la comprensione di un argomento così ostico per i non addetti ai lavori. Il meccanicismo, sebbene non faccia giustizia al grado di sofisticazione del sistema muscolo-scheletrico, ne rende intuitivi i suoi processi di funzionamento intrinseci.
Laddove quindi macchinette, massaggi, farmaci antidolorifici e ginnastica generica falliscono, le tecniche di mobilizzazione passiva accessoria, studiate accuratamente in fase di valutazione, risultano efficaci a sbloccare la situazione, poichè vanno ad agire sull’origine stessa del problema: la disfunzione analitica di movimento.
Le disfunzioni analitiche di movimento vengono risolte da svariate figure e da molteplici tecniche e manovre. Il mio approccio particolare all’arte della mobilizzazione è quello di aver selezionato solo le manovre dolci (niente manipolazioni ad alta velocità e bassa ampiezza che provocano sensazione di disagio) che non provochino ulteriori fastidi e di inquadrare già in fase di valutazione i pazienti che possano beneficiarne da quelli con cui invece dovrò usare altre metodologie globali di trattamento; ciò al fine di rendere sicura la procedura ed informato, circa la prognosi fisioterapica, il paziente.