IL VIAGGIO INTERIORE DI ANTONIO FRANCESCO PARISI
A cavallo tra diario e monologo interiore FENNE NA YERIKA AFRICA – GRAZIE PER IERI AFRICA! il nuovo volume dell’autore apricenese Antonio Francesco Parisi è un viaggio tra le pieghe del “Continente Nero”, attraverso i paesaggi naturali ed urbani del Benin: i suoi tramonti mozzafiato e la crudezza delle sue città.
A seguito di una missione della Diocesi di San Severo nata quindici anni prima, l’autore va alla ricerca di una felicità e di una libertà perdute, che ritrova negli occhi di chi ha scoperto nell’essenziale una strada per la gioia, seppur in una terra piena di contraddizioni ed iniquità, ricca di sorrisi ma lacera di dolore.
Una vita fatta di polvere e semplicità, in un mondo senza orologio, lontani dalla frenesia delle lancette e delle agende, sostituite dalle ombre di un albero o dai rintocchi delle campane, dove lo stesso vale per le persone, che non conoscono bene la propria età e vivono come fuori dal tempo, in una forma di eternità possibile.
In un sole che mangia le vie, le case, i volti, i gesti, l’autore attraversa terre sconosciute e insieme sé stesso, in una continua ed estenuante ricerca di senso, resa ancor più lacerante dai mille contrasti figli della miseria a cui deve assistere impotente.
Ogni uomo ha mille passaporti e appartiene al mondo, si ripete tracciando la linea dei suoi pensieri e delle emozioni che si sovrappongono e spesso eclissano la logica, in un susseguirsi di cronaca e poesia che fa di questo diario una geografia dell’anima.
Dedicato ai suoi compagni di avventura, FENNE NA YERIKA AFRICA – GRAZIE PER IERI AFRICA! è un viaggio nel viaggio, capace di accompagnare il lettore tra gli spazi sconfinati del Continente, tra le folle misere e festanti dei villaggi pronte ad accogliere i visitatori, e di lasciarlo allo stesso tempo con le spalle al muro, spettatore ignaro di ingiustizie e usanze difficilmente comprensibili, figli di una povertà sconosciuta che ha reso tradizione anche la verità più crudele.
Una barchetta per imparare ad ascoltare il mare, per combattere la paura di non riuscire più a sentire niente al ritorno in occidente, scrive l’autore raccogliendo il Fiore dell’Harmattan, carico di colori e di sole che sboccia dopo che sono bruciate le sterpaglie, tra l’aridità e il buio del terreno arso, a risorgere come ogni terra ed ogni uomo possono fare – la magia, il vuoto del deserto e del mare sullo sfondo.
Ci vorrebbe un’altra vita per capire l’Africa, che non va studiata, visitata, ma vissuta, e che ti entra dentro con i suoi colori e il suo buio, i suoni ed i rumori incessanti, la sua musica semplice e il silenzio soffocante della miseria, i profumi dei suoi frutti e la puzza nauseante delle latrine, l’abbondanza del sole e la magrezza estrema di tutto, luoghi, cose, animali e persone che si agitano tra la povertà mite delle capanne dei villaggi e quella spietata dei marciapiedi delle città. Agglomerati urbani che muoiono sugli aeroporti, veri e propri limbi, dove si incontrano e scontrano climi, tecnologie, civiltà ed anime.
Un libro da leggere tutto d’un fiato quello del cantautore e scrittore apricenese, che tocca corde importanti, per pungolare insieme a riflessioni e considerazioni cambiamenti di pensiero che potrebbero essere al centro delle cose nella nuova fase che ci aspetta dopo la sospirata fine della pandemia di Covid ’19.
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